Pubblica  Argomenti per le politiche pubbliche
4. Gli errori nel questionario
Incuriosita dall’assenza, nella presentazione della consultazione MIUR, di queste rilevanti informazioni di contesto, sono andata a vedere come venivano trattate nel questionario le diverse alternative di policy, e in particolare quella dell’accreditamento e della valutazione, in corso di implementazione, con il totale sostegno, almeno apparente, del legislativo e dell’esecutivo.

Se scorriamo le domande centrali - quesiti 1, 2, 5, 10 - e, soprattutto, le risposte previste, vediamo che sono tutte costruite con uno stesso schema concettuale. La parola chiave è ‘garanzia’: è la laurea (o il voto) garanzia di competenza (o qualità, o preparazione, o professionalità..)? Chi è d’accordo sceglie le risposte a) (v. risposte 1.a, 2.a, 5.a, 10.a). A tutti gli altri non rimane che scegliere le risposte b), che però sono una qualche variante della tesi dell’irrilevanza del titolo di studio, a favore di competenze acquisite attraverso l'esperienza pratica e/o studi personali. La scappatoia delle risposte ‘c) altro’ difficilmente potrà far emergere giudizi in grado di prevalere su quelli già codificati nel modo che abbiamo visto .
Questa formulazione delle alternative - garanzia o irrilevanza - ha gravi limiti, sia di tipo metodologico, sia di tipo deliberativo.
Più in generale, le risposte previste non sono in relazione di mutua esclusione. Infatti le alternative b) non sono mai l’opposto logico delle alternative a), ma introducono nuove varabili e diverse considerazioni (spesso, questions that assume what they ask). Anche i termini usati sono spesso simili, ma non uguali, ponendo problemi interpretativi enormi.

4.1. Primo errore metodologico: la rappresentazione distorta dello status quo
Il primo e più grave errore risiede nel fatto che le risposte a) sono tutte costruite intorno a una Straw Man Fallacy, cioè intorno a una rappresentazione caricaturale della tesi del cosiddetto valore legale del titolo di studio. Lo status quo viene infatti descritto come una situazione in cui la laurea vale di per sé quale garanzia di competenza (o qualità, o preparazione, o professionalità..), una rappresentazione che non ha riscontri empirici.



 






















4.2. Secondo errore metodologico: la rimozione di un’alternativa logica
In termini logici, le risposte 1.a, 2.a, 5.a, 10.a riflettono i giudizi che considerano il titolo di studio quale condizione sufficiente (garanzia) per  attestare la competenza (o qualità, o preparazione, o professionalità..) di un candidato. Ma non esiste alcuna risposta che rifletta la posizione di chi considera il titolo di studio quale condizione necessaria ma non sufficiente per attestare le competenze.




















La posizione rimossa può essere riassunta in questi termini: la laurea non è una garanzia, ma non è nemmeno irrilevante, perché è (ancora) un discreto predittore della preparazione minima richiesta per accedere a una serie di selezioni, quali gli esami di stato per le professioni regolate, e i concorsi per le più qualificate posizioni dell’impiego pubblico.





Qui non diciamo che questa è la posizione da preferire. Diciamo che averla espunta dalle risposte compromette in modo drammatico la validità della consultazione.













4.3. L’errore deliberativo
La rimozione della terza alternativa è tanto più grave perché è proprio su di essa che si fonda la policy avviata - apparentemente con amplissimo consenso - con il decreto legislativo 27 gennaio 2012, n. 19, redatto su “proposta del  Ministro  dell'istruzione,  dell'università  e della ricerca”, due mesi prima dell’inizio della consultazione.
Infatti i costi di questo complicatissimo processo hanno senso solo se sono scartate le due alternative presentate nel questionario, dato che:
se la laurea è già di per sé una “garanzia di qualità” (risposte a), allora va tutto bene così
se è già di per sé un attestato irrilevante (risposte b), allora è tempo perso mettere in piedi l’accreditamento.
Il risultato è paradossale. Qualunque sia l’esito della consultazione pubblica, e cioè sia che prevalgano le risposte a) sia quelle b), l’effetto sarà uno solo: segare il ramo a cui sta appesa l’operazione ‘accreditamento’.
Infatti è solo nell’ipotesi, ignorata dal questionario, della laurea come ‘discreto predittore’ che ha senso lavorare al suo miglioramento, attraverso l’individuazione e la verifica di standard minimi per i corsi di studio. Altrimenti, tanto vale attuare solo a quella parte della riforma Gelmini che riguarda la ‘valutazione’, in vista di una distribuzione premiale dei fondi pubblici agli atenei.

4.4. La policy già scelta è presentata male
Si dirà che l’alternativa dell’accreditamento è trattata all’interno della Tematica III: Valutazione dei titoli di studio’. E’ vero: ma in modo molto confuso e ampiamente superato dalle scelte di policy già compiute.
Nei quesiti 11 e 12, la formulazione delle domande è equivoca, perché comprende entro l’unico termine ‘differenziazione qualitativa’ operazioni profondamente diverse:

  • l’accreditamento dei corsi di studio, sulla base del superamento di standard minimi
  • la valutazione dei corsi di studio, con l’assegnazione di punteggi o di posizioni in una scala.

Al quesito 13 (“Ai fini di un'eventuale differenziazione di titoli di studio nominalmente equivalenti, quali valutazioni ritenete che dovrebbero rilevare?"), le risposte

  • sono formulate male,
  • mischiano indicatori eterogenei,
  • non contemplano la soluzione in corso di attuazione con il decreto legislativo 17 del 2012.

Infatti, rispetto al tema considerato, sia l’accreditamento, sia la valutazione non riguarderanno l’'l'istituto che ha rilasciato il titolo” (l’Università degli Studi di Milano, o la Sapienza di Roma..), ma il singolo corso di studio (il corso di laurea in ‘Management pubblico’ del primo ateneo, o il corso di laurea in ‘Scienze Biologiche’ dell’Università degli studi di Palermo..).

Ormai irrimediabilmente superato è il Quesito 14 “Ai fini di un'eventuale differenziazione di titoli di studio nominalmente equivalenti, chi ritenete che dovrebbe operare le relative valutazioni?”. Infatti, fin dal dicembre 2010, con l’approvazione della ‘riforma Gelmini’, questo compito per legge è affidato all’Anvur, che sta procedendo alla sua attuazione.

Infine, i quesiti 12, 13 e 14 dovrebbero essere riservati solo a chi, nel quesito 11, ha scelto la tesi della cosiddetta differenziazione dei titoli di studio. Invece, le ultime domande ricadono nell’errore ‘questions that assume what they ask’, presupponendo il consenso a una policy di ‘differenziazione tra titoli di studio nominalmente equivalenti’. Un errore che rischia di invalidare tutta questa batteria di domande.



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Tematica I: Accesso alle professioni regolamentate
Negli 'Spunti di approfondimento', prima si descrive, correttamente, la situazione attuale come quella in cui il titolo di studio è ‘il presupposto essenziale per l'ammissione all'esame di Stato’. Ma poi il ‘presupposto’ diventa, nella  presentazione e nelle domande, ‘una garanzia della qualità della prestazione professionale”: una posizione che è   arduo rintracciare nel dibattito e da cui per altro deriverebbe l’inutilità dell’esame di abilitazione.

Tematica III: Valutazione dei titoli di studio
Dagli ‘Spunti di approfondimento’: 'Nel nostro ordinamento si presume che tutti coloro che posseggono il medesimo titolo di studio  (ad esempio "laurea in giurisprudenza") abbiano la medesima preparazione'.
Si tratta di una premessa palesemente falsa. Grazie al cielo, non c‘è un solo atto pubblico in cui si affermi una simile sciocchezza. Gli esami di Stato e i concorsi pubblici esistono apposta per verificare la preparazione dei singoli, anche a parità di titolo di studio e di voto. Se no, le assunzioni pubbliche sarebbero a sorteggio o a sportello, magari filtrate dal voto di laurea: chi si presenta prima ha il posto. Possono esserci molti motivi per criticare gli attuali sistemi di selezione. Ma è scorretto sollecitare questo giudizio partendo da un’affermazione falsa .
Le norme in vigore dicono che "I titoli conseguiti al termine dei corsi di studio dello stesso livello, appartenenti alla stessa classe, hanno identico valore legale" (articolo 4, comma 3, del decreto ministeriale 22 ottobre 2004, n. 270), qualunque sia la denominazione che un ateneo ha scelto per i corsi: una cosa ben diversa.
Immaginate di trovarvi davanti a un questionario in cui vi si chiede:

“Come giudicate la necessità di possedere un certificato di superamento dell’esame della vista per poter guidare?
  • a)  Positivamente, perché il possesso del certificato della vista garantisce la qualità della guida.
  • b) Negativamente, perché la necessità di possedere il certificato della vista impedisce che soggetti con competenze acquisite attraverso l'esperienza pratica e/o attraverso studi personali possano guidare.
  • c) Altro”

Ovviamente, una formulazione del genere toglierebbe qualunque valore alla consultazione, perché farebbe ricadere sull’intervistato l’onere di evidenziare la terza possibilità logica: l’essere l’esame della vista condizione necessaria ma non sufficiente per la qualità della guida . E questo indipendentemente dal merito della questione.
Critiche in larga parte coincidenti sono presentate nel documento promosso da un gruppo di studiosi di politiche universitarie su roars.it
Per le professioni regolamentate, ad esempio, le possibilità logiche (e le alternative di policy) sono quattro, tra loro chiaramente autoescludentesi:
1.situazione attuale: titolo di studio + esame di stato
2.solo titolo di studio, senza esame di stato
3.solo esame di stato, senza titolo di studio
4.né titolo di studio, né esame di stato.
Purtroppo, l’insieme delle risposte previste alle domande 1 e 2 genera sottoinsiemi difficili da interpretare. Ad esempio, la scelta della risposta a) al quesito 1, a quale opzione corrisponde? Alla 1 o alla 2 della nostra griglia logica?
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Gloria Regonini
è docente
all'Università
degli Studi
di Milano. Qui
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