La consultazione pubblica sul valore legale dei titoli: osservazioni di metodo

da www.pubblica.org/metodoconsultazione.html

 

La consultazione pubblica sul valore legale dei titoli: osservazioni di metodo

di Gloria Regonini

16 aprile 2012

1. Punti di forza

La consultazione pubblica sul valore legale dei titoli di studio avviata dal governo Monti e attuata dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (d’ora in poi, MIUR) è importante perché

è innovativa

il passato da cui veniamo ha visto tre riforme (1999, 2004, 2010) calate dall’alto, sopra la testa di chi nell’università lavora e studia, di chi offre lavoro ai laureati, di chi, pagando le tasse, finanzia l’istruzione post-secondaria. Voltare pagina rispetto a questo stile top-down ci allinea, almeno nelle intenzioni, ai processi di riforma avviati negli altri paesi, come si dice nella stessa presentazione dell’iniziativa

è coraggiosa

l’idea di non confinare la consultazione tra gli addetti ai lavori, ma di considerare quali stakeholders tutti i cittadini, di qualunque età e ruolo, è senz’altro da incoraggiare

è intelligente

il fatto di utilizzare il web come canale permette di raggiungere una platea di destinatari amplissima, con costi minimi e risultati che possono essere resi noti in modo trasparente

merita di proseguire

da qualche parte bisogna pur partire. E’ importante per il nostro paese, e per chi insegna gli strumenti di partecipazione civica. Finalmente avremo un concreto esempio di consultazione pubblica nazionale da mostrare ai nostri studenti e da utilizzare per le esercitazioni.

2. Punti di debolezza

I limiti che evidenziamo nulla tolgono all’apprezzamento per gli elementi positivi. Il saldo è a favore della sperimentazione: meglio un passo incerto dell’immobilismo. Ma i limiti non sono piccoli.

2.1. Di che cosa stiamo parlando?

Sia i dati di contesto, sia la presentazione che precede il questionario vero e proprio, mostrano senza ombra di dubbio che la consultazione pubblica ha uno stretto collegamento con il disegno di una o più politiche pubbliche sul valore dei titoli di studio universitari. Nella conferenza stampa del 27 gennaio 2012, il presidente del Consiglio Mario Monti ha legato questo approfondimento a future decisioni sul tema (Reuters,  27 gennaio 2012). Nella presentazione del questionario MIUR si può leggere: “Gli esiti della consultazione costituiranno il presupposto per tutte le proposte da sottoporre al Consiglio dei Ministri oltre che per i provvedimenti del Ministero”.

Dunque, non si tratta di un semplice sondaggio di opinione, ma di una rilevazione che avrà conseguenze per il disegno delle politiche pubbliche.

2.2. Requisiti delle consultazioni su politiche pubbliche

Quando è in gioco la progettazione di una policy, perché una consultazione pubblica abbia un qualche valore, occorre che sia avviata sulla base di un documento che, in modo esplicito, piano e trasparente, indica i problemi, gli obiettivi e le alternative su cui si chiede di esprimere il parere. Senza questo documento, non si ha una consultazione pubblica, ma un’altra cosa, come vedremo più avanti.

L’esempio dell’Unione Europea

Nella presentazione della consultazione del MIUR, si legge che questo metodo “in Europa, è oramai una prassi consolidata”. E, appunto, l’Unione Europea fa regolarmente precedere le consultazioni da documenti, denominati ‘roadmap[1]. La lettura di questi testi, che in genere non superano le 5-6 pagine, ovviamente non è obbligatoria. Ma il loro contenuto permette di capire quali opzioni sono in gioco. Le schede in genere contengono queste informazioni di base:

  1. Context, problem definition
  2. Objectives of the initiative
  3. Options
  4. Initial assessment of impacts
  5. Evidence base, planning of further work and consultation

2.3. Le conseguenze delle omissioni

Omettere queste informazioni preliminari mina alla base il valore della consultazione, sia sul piano metodologico, sia sul piano civico.

L’errore metodologico

Questi dati non sono orpelli burocratici, ma elementi indispensabili per capire il significato delle domande e, quindi, delle risposte.

Esplicitarli e dare a tutti la possibilità di conoscerli è un elementare atto di correttezza metodologica.

In particolare, la definizione del problema, degli obiettivi, delle opzioni, delle evidenze e delle valutazioni già raccolte, permette di identificare il frame all’interno del quale si colloca la consultazione. Per questo, gli esperimenti di consultazione pubblica dedicano una grande rilevanza alla loro presentazione[2]. Infatti variazioni anche minime nella definizione del problema e delle alternative determinano, ceteris paribus, variazioni significative nella scelta delle soluzioni.

L’errore civico

Nella presentazione che precede il questionario MIUR, si legge che scopo principale della consultazione è “consentire all’opinione pubblica di esprimere il proprio orientamento sull’argomento, dal punto di vista dei riflessi sulla società e su parte del mondo del lavoro”.

Perché questa espressione di orientamento sia trasparente, occorre che chi vuole possa informarsi di che cosa ‘c’è sotto’, e cioè dei problemi, delle opzioni, delle valutazioni e delle politiche che sono in cantiere. Rimuovere questi dati è come chiedere di mettere la firma su un modulo in bianco.

Senza la possibilità di disporre di questa base informativa comune, per approfondire il tema e rifletterci sopra, anche modificando le proprie idee iniziali, l’esperimento perde qualunque significato deliberativo o partecipativo, e si trasforma in un’altra cosa.

3. Le informazioni mancanti

Se confrontiamo le informazioni fornite nel preambolo del questionario MIUR con quelle richieste, ad esempio, dal punto A delle roadmap dell’Unione Europea, (A. Context, problem definition), notiamo un inspiegabile silenzio su due iniziative istituzionali maturate quasi due mesi prima dell’avvio della consultazione, la cui conoscenza sarebbe di enorme aiuto nel problem framing:

  1. la conclusione dell’indagine conoscitiva svolta dalla Commissione Istruzione del Senato
  2. l’avvio dell’implementazione dei meccanismi per l’accreditamento degli atenei e dei corsi di studio universitari.

3.1. Il silenzio sulle conclusioni della commissione parlamentare

Per un anno, dal febbraio 2011 al febbraio 2012, la Commissione Istruzione del Senato ha condotto un’ampia indagine conoscitiva “sugli effetti connessi all'eventuale abolizione del valore legale del diploma di laurea”. Sono state rese decine di importanti testimonianze e presentati numerosi documenti.

Il 1 febbraio 2012, alla presenza, per il governo, del sottosegretario per l'istruzione, l'università e la ricerca  Elena Ugolini, la Commissione ha approvato all'unanimità il documento conclusivo, e ha pubblicato tutti gli atti. Alla fine delle conclusioni, si legge:

“10. Queste considerazioni portano a ritenere che adottare oggi nel nostro Paese l’abolizione del valore legale della laurea presenterebbe, a fronte dei benefici conseguenti alla liberalizzazione del sistema universitario e alla piena autonomia delle universita`, vari cospicui aspetti negativi, complessivamente prevalenti” (p. 92).

Tra l’approvazione di questo documento e l’avvio della consultazione del MIUR, sono trascorsi 50 giorni. Eppure, nelle indicazioni per gli approfondimenti che introducono al questionario online, si fa riferimento solo a un testo tecnico, vecchio di un anno: il Dossier n. 280/2011 del Senato.

Nella presentazione del questionario si dice:”Consultare i cittadini sui temi di maggiore interesse per la società civile è estremamente importante”. Assolutamente d’accordo. Correttezza istituzionale avrebbe voluto che i cittadini fossero informati quanto meno dell’esistenza dell’indagine conoscitiva del Senato e avessero a disposizione il link non a un documento tecnico, ma al suo documento conclusivo.

Si tratta di disinformazione o di una scelta intenzionale, originata da un conflitto sulle diverse politiche sostenute dai diversi poteri dello Stato?

Chi si appresta a rispondere al questionario ha diritto di sapere come verranno usate le sue valutazioni rispetto alle conclusioni cui è pervenuta, all’unanimità, la commissione istruzione del Senato.

E questo perché c’è un modo sicuro per affossare un esperimento partecipativo o deliberativo: non raccordarlo o, peggio, metterlo in contrapposizione alle scelte delle istituzioni rappresentative.

3.2. Il silenzio sull’avvio dell’accreditamento

La legge n. 240 del 2010, la cosiddetta ‘riforma Gelmini’ dell’università, delega il governo ad adottare dei decreti legislativi su una serie di obiettivi, tra cui, al primo posto, figura la

“introduzione di un sistema di accreditamento delle sedi e dei corsi di studio universitari di cui all'articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 22 ottobre 2004, n. 270, fondato sull'utilizzazione di specifici indicatori definiti ex ante dall'ANVUR per la verifica del possesso da parte degli atenei di idonei requisiti didattici, strutturali, organizzativi, di qualificazione dei docenti e delle attività di ricerca, nonche' di sostenibilità economico-finanziaria;” (articolo 5, comma 3, lettera a).

Se torniamo alle conclusioni dell’indagine conoscitiva del Senato, l’accreditamento periodico delle università e dei corsi di studio è considerato da tutti gli intervenuti (tra cui il ministro Brunetta, il ministro Gelmini, il presidente della Crui) come una policy necessaria e urgente, oltre che imposta da una legge in vigore. Questo giudizio è condiviso sia dai favorevoli al mantenimento del valore legale, che ritengono l’accreditamento come un suo rafforzamento, sia dai contrari, che lo considerano invece come una tappa in vista dell’abolizione.

Allo scadere dei termini previsti per l’emanazione del decreto legislativo richiesto dalla legge 240/2010, il Consiglio dei ministri ha effettivamente approvato il decreto legislativo 27 gennaio 2012, n. 19, redatto proprio su “proposta del  Ministro  dell'istruzione,  dell'universita'  e della ricerca”. Attenzione alla data, perché è la stessa della conferenza stampa in cui il Presidente del Consiglio ha annunciato la consultazione pubblica avviata due mesi più tardi.

Anche questo provvedimento può contare su un convinto sostegno politico multipartisan. Il testo, integrato da alcune piccole modifiche tecniche rispetto a quello predisposto nell’estate 2011 dal governo Berlusconi, è stato salutato come “un passaggio fondamentale del processo di riforma del sistema universitario” e ha ricevuto un ampio parere favorevole dalle commissioni della Camera e del Senato[3]. Intervenendo in Senato, il nuovo ministro della Pubblica istruzione Francesco Profumo “dichiara di riconoscersi pienamente nello schema di decreto in titolo, che si muove nella direzione, da tempo auspicata, dell'accreditamento delle sedi e dei corsi di studio universitari”.

3.3. Una politica pubblica è già stata scelta

Dunque, almeno dal primo febbraio 2012, grazie alla convergenza di valutazioni tra legislativo ed esecutivo, e grazie al sostegno pressoché unanime di tutte le forze politiche e sociali, esiste una politica pubblica che si propone di risolvere - almeno nel medio periodo - il problema di come differenziare i titoli di studio ‘spazzatura’ rispetto ai titoli provenienti da corsi di studio che garantiscono una qualche affidabilità. E questa politica pubblica si chiama accreditamento + valutazione.

Al momento dell’avvio della consultazione pubblica, questa policy è ormai entrata nella fase di implementazione, che comporterà una serie di impegni molto, molto onerosi per tutti gli attori:

       gli atenei e i corsi di studio che dovranno essere valutati e accreditati

       l’ANVUR, l’agenzia cui compete fissare i criteri e effettuare le verifiche

       lo stesso MIUR, che dovrà intervenire nei casi controversi.

Il 29 marzo 2012, cioè una settimana dopo l’avvio della consultazione MIUR, l’ANVUR, cui compete il ruolo centrale per l’accreditamento e la valutazione, ha pubblicato una road map che, tra l’altro, annuncia, dopo la pubblicazione del primo documento, una “raccolta delle osservazioni e dei suggerimenti relativi alle proposte ANVUR tramite un indirizzo e-mail dedicato”.

Il processo sarà lungo e complesso. Per vedere i primi risultati e tracciare un bilancio, occorrerà attendere, oltre alla pubblicazione dei criteri e del programma di lavoro da parte dell’ANVUR (120 giorni), la conclusione del primo ciclo di accreditamento, i cui esiti avranno una validità massima di cinque anni per le sedi universitarie, e di tre anni per i corsi di studio.

Come hanno messo in evidenza soprattutto i documenti ANVUR, CRUI e CUN, acquisiti dalla Commissione pubblica istruzione del Senato nel 2011, l’implementazione è un’impresa molto impegnativa, anche per il raccordo con le iniziative che stanno avanzando nell’Unione Europea.    

4. Gli errori nel questionario

Incuriosita dall’assenza, nella presentazione della consultazione MIUR, di queste rilevanti informazioni di contesto, sono andata a vedere come venivano trattate nel questionario le diverse alternative di policy, e in particolare quella dell’accreditamento e della valutazione, in corso di implementazione, con il totale sostegno, almeno apparente, del legislativo e dell’esecutivo.

Se scorriamo le domande centrali - quesiti 1, 2, 5, 10 - e, soprattutto, le risposte previste, vediamo che sono tutte costruite con uno stesso schema concettuale. La parola chiave è ‘garanzia’: è la laurea (o il voto) garanzia di competenza (o qualità, o preparazione, o professionalità..)? Chi è d’accordo sceglie le risposte a) (v. risposte 1.a, 2.a, 5.a, 10.a). A tutti gli altri non rimane che scegliere le risposte b), che però sono una qualche variante della tesi dell’irrilevanza del titolo di studio, a favore di competenze acquisite attraverso l'esperienza pratica e/o studi personali. La scappatoia delle risposte ‘c) altro’ difficilmente potrà far emergere giudizi in grado di prevalere su quelli già codificati nel modo che abbiamo visto[4].

Questa formulazione delle alternative - garanzia o irrilevanza - ha gravi limiti, sia di tipo metodologico, sia di tipo deliberativo.

4.1. Primo errore metodologico: la rappresentazione distorta dello status quo

Il primo e più grave errore risiede nel fatto che le risposte a) sono tutte costruite intorno a una Straw Man Fallacy, cioè intorno a una rappresentazione caricaturale della tesi del cosiddetto valore legale del titolo di studio. Lo status quo viene infatti descritto come una situazione in cui la laurea vale di per sé quale garanzia di competenza (o qualità, o preparazione, o professionalità..), una rappresentazione che non ha riscontri empirici.  

Tematica I: Accesso alle professioni regolamentate

Negli Spunti di approfondimento, prima si descrive, correttamente, la situazione attuale come quella in cui il titolo di studio è “il presupposto essenziale per l'ammissione all'esame di Stato”. Ma poi il ‘presupposto’ diventa, nella presentazione e nelle domande, “una garanzia della qualità della prestazione professionale”: una posizione che è arduo rintracciare nel dibattito e da cui per altro deriverebbe l’inutilità dell’esame di abilitazione.

Tematica III: Valutazione dei titoli di studio

Dagli ‘Spunti di approfondimento’: “Nel nostro ordinamento si presume che tutti coloro che posseggono il medesimo titolo di studio  (ad esempio "laurea in giurisprudenza") abbiano la medesima preparazione”.

Si tratta di una premessa palesemente falsa. Grazie al cielo, non c‘è un solo atto pubblico in cui si affermi una simile sciocchezza. Gli esami di Stato e i concorsi pubblici esistono apposta per verificare la preparazione dei singoli, anche a parità di titolo di studio e di voto. Se no, le assunzioni pubbliche sarebbero a sorteggio o a sportello, magari filtrate dal voto di laurea: chi si presenta prima ha il posto. Possono esserci molti motivi per criticare gli attuali sistemi di selezione. Ma è scorretto sollecitare questo giudizio partendo da un’affermazione falsa[5].

4.2. Secondo errore metodologico: la rimozione di un’alternativa logica

In termini logici, le risposte 1.a, 2.a, 5.a, 10.a riflettono i giudizi che considerano il titolo di studio quale condizione sufficiente (garanzia) per  attestare la competenza (o qualità, o preparazione, o professionalità..) di un candidato. Ma non esiste alcuna risposta che rifletta la posizione di chi considera il titolo di studio quale condizione necessaria ma non sufficiente per attestare le competenze.

Immaginate di trovarvi davanti a un questionario in cui vi si chiede:

“Come giudicate la necessità di possedere un certificato di superamento dell’esame della vista per poter guidare?

a)  Positivamente, perché il possesso del certificato della vista garantisce la qualità della guida.

b) Negativamente, perché la necessità di possedere il certificato della vista impedisce che soggetti con competenze acquisite attraverso l'esperienza pratica e/o attraverso studi personali possano guidare.

c) Altro”

Ovviamente, una formulazione del genere toglierebbe qualunque valore alla consultazione, perché farebbe ricadere sull’intervistato l’onere di evidenziare la terza possibilità logica: l’essere l’esame della vista condizione necessaria ma non sufficiente per la qualità della guida[6]. E questo indipendentemente dal merito della questione.

La posizione rimossa può essere riassunta in questi termini: la laurea non è una garanzia, ma non è nemmeno irrilevante, perché è (ancora) un discreto predittore della preparazione minima richiesta per accedere a una serie di selezioni, quali gli esami di stato per le professioni regolate, e i concorsi per le più qualificate posizioni dell’impiego pubblico.

Qui non diciamo che questa è la posizione da preferire. Diciamo che averla espunta dalle risposte compromette in modo drammatico la validità della consultazione[7].

4.3. L’errore deliberativo

La rimozione della terza alternativa è tanto più grave perché è proprio su di essa che si fonda la policy avviata - apparentemente con amplissimo consenso - con il decreto legislativo 27 gennaio 2012, n. 19, redatto su “proposta del  Ministro  dell'istruzione,  dell'università  e della ricerca”, due mesi prima dell’inizio della consultazione.

Infatti i costi di questo complicatissimo processo hanno senso solo se sono scartate le due alternative presentate nel questionario, dato che:

se la laurea è già di per sé una “garanzia di qualità” (risposte a), allora va tutto bene così

se è già di per sé un attestato irrilevante (risposte b), allora è tempo perso mettere in piedi l’accreditamento.

Il risultato è paradossale. Qualunque sia l’esito della consultazione pubblica, e cioè sia che prevalgano le risposte a) sia quelle b), l’effetto sarà uno solo: segare il ramo a cui sta appesa l’operazione ‘accreditamento’.

Infatti è solo nell’ipotesi, ignorata dal questionario, della laurea come ‘discreto predittore’ che ha senso lavorare al suo miglioramento, attraverso l’individuazione e la verifica di standard minimi per i corsi di studio. Altrimenti, tanto vale attuare solo a quella parte della riforma Gelmini che riguarda la ‘valutazione’, in vista di una distribuzione premiale dei fondi pubblici agli atenei.

4.4. La policy scelta è presentata male

Si dirà che l’alternativa dell’accreditamento è trattata all’interno della ‘Tematica III: Valutazione dei titoli di studio’. E’ vero: ma in modo molto confuso e ampiamente superato dalle scelte di policy già compiute.

Nei quesiti 11 e 12, la formulazione delle domande è equivoca, perché comprende entro l’unico termine ‘differenziazione qualitativa’ operazioni profondamente diverse:

       l’accreditamento dei corsi di studio, sulla base del superamento di standard minimi

       la valutazione dei corsi di studio, con l’assegnazione di punteggi o di posizioni in una scala.

Al quesito 13 (“Ai fini di un'eventuale differenziazione di titoli di studio nominalmente equivalenti, quali valutazioni ritenete che dovrebbero rilevare?”), le risposte sono formulate male, mischiano indicatori eterogenei e non contemplano la soluzione in corso di attuazione con il decreto legislativo 17 del 2012[8]. Infatti, rispetto al tema considerato, sia l’accreditamento, sia la valutazione non riguarderanno l’’l'istituto che ha rilasciato il titolo’ (l’Università degli Studi di Milano, o la Sapienza di Roma..), ma il singolo corso di studio (il corso di laurea in ‘Management pubblico’ del primo ateneo, o il corso di laurea in ‘Scienze Biologiche’ dell’Università degli studi di Palermo..).

Ormai irrimediabilmente superato è il Quesito 14 “Ai fini di un'eventuale differenziazione di titoli di studio nominalmente equivalenti, chi ritenete che dovrebbe operare le relative valutazioni?”. Infatti, fin dal dicembre 2010, con l’approvazione della ‘riforma Gelmini’, questo compito per legge è affidato all’Anvur, che sta procedendo alla sua attuazione.

Infine, i quesiti 12, 13 e 14 dovrebbero essere riservati solo a chi, nel quesito 11, ha scelto la tesi della cosiddetta differenziazione dei titoli di studio. Invece, le ultime domande ricadono nell’errore ‘questions that assume what they ask’, presupponendo il consenso a una policy di ‘differenziazione tra titoli di studio nominalmente equivalenti’. Un errore che rischia di invalidare tutta questa batteria di domande.

5. Salvare il salvabile

Per recuperare gli aspetti positivi dell’iniziativa in atto, occorrono alcuni rimedi.

5.1. Identificare le cause degli errori

Innanzi tutto, chi ha promosso la consultazione dovrebbe identificare le cause degli errori che ne compromettono il valore. Alcune ipotesi possono essere formulate.

1. Il disallineamento

L’amministrazione italiana rispetta alla lettera il precetto evangelico “la mano destra non sappia quel che fa la sinistra”. E’ una classica forma di inefficienza, che deriva dalla mancanza di comunicazione e coordinamento tra uffici, che magari stanno su uno stesso piano del MIUR. Può essere che gli estensori del questionario non sapessero che cosa stavano facendo all’Ufficio legislativo, e viceversa. Eppure, per chi è del mestiere, sarebbe bastato Google per scoprire l’esistenza e le caratteristiche della policy adottata negli ultimi due mesi dallo stesso governo.

2. L’uso strategico della definizione delle alternative

As a matter of fact, the definition of the alternatives is the supreme instrument of power[9]. Secondo questa spiegazione, invece, gli estensori delle domande avrebbero tolto visibilità all’alternativa di policy, attualmente in fase di implementazione, perché erano contrari ad essa. In altre parole, il ‘partito abolizionista’, messo in minoranza dalla scelta dell’accreditamento, avrebbe visto nella consultazione uno strumento per riguadagnare posizioni.

3. La consultazione come risarcimento simbolico

La teoria insegna che uno dei modi più utilizzati per comporre conflitti tendenzialmente irriducibili consiste nel “dare agli uni la retorica, e agli altri la decisione”[10].

In alcuni casi, le consultazioni pubbliche avviate ‘a babbo morto’, cioè a politiche già scelte, sono esercizi di retorica concessi alle coalizioni perdenti quasi come indennizzo.

Verificare quali ipotesi, se queste o altre, spieghino gli errori compiuti, richiederebbe una vera ricerca, per ricostruire il network degli attori, le concomitanze temporali, i test effettuati, i risultati attesi…Non è compito nostro, ma di chi ha la responsabilità del progetto. In ogni caso, l’obiettivo non è trovare capri espiatori, ma apprendere da quel che è andato storto, in vista di nuove e più solide iniziative.

5.2. Ridefinire il valore della consultazione

Nella pagina web che introduce al questionario, si può leggere:

”L’idea di fondo è quella di trasformare la consultazione in un percorso, un elemento portante dell’azione di Governo che, prima di decidere, si ferma ad ascoltare la voce dei destinatari delle decisioni: i cittadini”.

Come abbiamo più volte sottolineato, questo condivisibile proposito è minato da due problemi che tolgono valore deliberativo o partecipativo all’esperimento:

       l’omissione di informazioni aggiornate sulle politiche in atto

       l’impostazione del questionario, per l’illogica assenza di alcune alternative e per l’ingombrante presenza di built-in assumptions.

Per me, che ‘sono del mestiere’, non è stato difficile individuare questi limiti. Ma i costi dell’informazione che un comune cittadino dovrebbe affrontare per compensare queste carenze sono enormi.

Allora, quale valore può essere attribuito alla consultazione pubblica in corso?  

Non un sondaggio di opinione

Anche riducendo il significato della consultazione a quello di un comune sondaggio d’opinione, i limiti metodologici del questionario pregiudicano la significatività dei risultati.

Se poi si trattasse di una rilevazione sullo shift in social norms, probabilmente altri strumenti permetterebbero di capire meglio come indagare i nuovi orientamenti[11]:

       interviste,

       focus groups,

       indagini Delphi...

In tutti questi metodi, sono fasi delicatissime

       l’estrazione del campione, che qui avviene invece per autoselezione

       la formulazione delle domande.

Per questo, una rilevazione del genere dovrebbe essere affidata a un’istituzione di ricerca terza, in grado di dare garanzie di competenza e imparzialità.

Il confine tra

       verificare il grado di ‘accettabilità sociale della prospettata abolizione’[12] del valore legale dei titoli di studio universitari

e

       influire su tale accettabilità sociale

può essere molto labile. Quando il committente è un organo politico, superare questo confine significa trasformare un esperimento conoscitivo in uno strumento di propaganda.

Non un referendum

Alcuni organi di informazione hanno presentato l’esperimento in corso come un referendum online[13].

Ci sono molti buoni motivi per non dare alla consultazione il significato di un referendum, sia pure non ufficiale.

La profilatura dei rispondenti

Un referendum online non dovrebbe essere associato a strumenti di profilatura dei rispondenti. Al più, devono essere prese precauzioni per impedire massive attacs da parte di chi sostiene o contrasta la decisione sottoposta a referendum.

Invece, la procedura della consultazione Miur prevede che ogni partecipante indichi:

       regione di residenza

       occupazione  

       titolo di studio

oltre a tutti i dati desumibili dal codice fiscale, quali l’età e il genere.

Altri governi, quali quello britannico, per consultazioni analoghe richiedono solo la normale registrazione con nome e email.

Quanto meno, sarebbe stato necessario specificare con la massima precisione:

       perché vengono richiesti questi dati

       chi avrà accesso ad essi

       per quali utilizzazioni.

La complessità delle issues e del questionario

Per avere una qualche validità, un referendum dovrebbe prevedere una singola issue e una singola alternativa: a favore/contro.

Il questionario invece riflette la complessità e la concatenazione delle issues considerate.

Questa complessità è un dato reale, che toglie rilevanza a una contrapposizione di principio tra favorevoli e contrari.

Una fase nuova del processo decisionale

Con l’avvio delle procedure per l’accreditamento dei corsi di studio, il problema del valore legale del titolo universitario è entrato in una nuova fase, che terrà impegnato l’intero sistema universitario almeno per un quinquennio. Un referendum pro o contro il valore legale riporta ad alternative già accantonate dalla stessa riforma Gelmini del 2010.

Un esperimento da cui imparare

Il più importante valore dell’iniziativa sta proprio nel fatto di essere un test, un esperimento che permette di verificare le straordinarie potenzialità e i rischi di una consultazione pubblica via web.

Nella presentazione, si afferma: “Gli esiti della consultazione costituiranno il presupposto per tutte le proposte da sottoporre al Consiglio dei Ministri oltre che per i provvedimenti del Ministero”. Una diretta utilizzazione di questo tipo è estremamente ingenua e improbabile, qualunque sia il suo esito, anche se non ci fossero gli errori di impostazione che abbiamo evidenziato.

Ma, sia pure come ‘versione beta’, la consultazione può fornire dati preziosi per capire

       quali categorie dimostrano una maggiore propensione alla partecipazione

       quali competenze, anche tecnologiche, possiedono

       come reagiscono alle domande (e alle trappole spesso sottese)

       quali preferenze rivelano, sia nelle risposte preformulate, sia in quelle libere

       quale grado di coerenza interna dimostrano…

Sarebbe davvero un peccato sottoutilizzare questi dati, fondamentali per il miglioramento delle consultazioni via web in Italia.

6. Raccomandazioni

Per i destinatari dell’iniziativa, il consiglio evidentemente non è quello di tenersi lontani dalla consultazione pubblica avviata dal Miur, ma di partecipare, leggendo attentamente le domande e le risposte.

Per quanto riguarda i promotori, nella presentazione si legge:

”Al termine della consultazione, i contributi ricevuti saranno pubblicati, in forma anonima, sul sito istituzionale del MIUR. Il Ministero elaborerà anche un documento riepilogativo che sarà oggetto di pubblicazione”.

Questo impegno non basta.

Quando sono avviati progetti di questo genere, è auspicabile la designazione di responsabili scientifici, identificabili per nome, cognome, curriculum. 

Per quanto riguarda la presentazione dei risultati, è un elementare dovere restituire a chi ha partecipato e a tutti gli interessati un rapporto metodologicamente affidabile. Dati i problemi che abbiamo evidenziato, non si tratta di un’impresa facile. Per contenere gli errori, andrebbero rispettate alcune condizioni.

Informazione circa le critiche

Nello stesso sito in cui saranno pubblicati i risultati, per trasparenza occorrerebbe dare conto del dibattito che è avvenuto sul web e sulla stampa circa l’impostazione della consultazione. Non si tratta di riprendere gli articoli pro o contro il cosiddetto valore legale dei titoli di studio, ma di rinviare agli interventi che hanno avanzato critiche di tipo metodologico. L’obiettivo è permettere di capire quali significati si possono legittimamente attribuire alla consultazione, e quali no.

Disponibilità dei dati

Sarebbe utile mettere i microdati a disposizione della comunità scientifica in un formato importabile dai più diffusi software, ovviamente dopo aver reso assolutamente non identificabili gli individui.

I dati devono essere completi, e pertanto comprensivi sia delle risposte chiuse, sia di quelle fornite attraverso l’inserimento di testi, in modo da essere utilizzabili per analisi sia quantitative, sia qualitative.

Le pagine MIUR dovrebbero indicare chiaramente sia le procedure per ottenere i dati, sia quelle per caricare eventuali analisi ‘non governative’.

Disponibilità delle analisi

I risultati di queste analisi ‘non governative’, dopo una prima verifica della loro qualità, dovrebbero essere accessibili a tutti, a partire dalle stesse pagine istituzionali MIUR.

La molteplicità delle analisi è l’unica garanzia per contenere la diffusione di conclusioni infondate sul piano metodologico.

Follow up

Dato il mancato raccordo tra i contenuti della consultazione e la policy per l’accreditamento dei corsi di studio, attualmente in fase di implementazione, e dati i limiti metodologici del questionario, è arduo immaginare un collegamento diretto tra

- esiti della consultazione

- proposte al Consiglio dei Ministri

- provvedimenti del Ministero.

Ma, qualora questa connessione venisse addotta, per trasparenza occorrerebbe precisare a quali risultati esattamente si fa riferimento.

 



[1] V. ad esempio una delle ultime consultazioni pubbliche dell’Unione Europea: http://ec.europa.eu/governance/impact/planned_ia/docs/2013_sanco_004_mutual_recognition_of_prescriptions_en.pdf

[2] Sull’importanza del problem framing nelle consultazioni civiche, v. ad esempio The National Issues Forums Institute (NIFI) e The FrameWorks Institute

[3] V. http://www.senato.it/leg/16/BGT/Schede/docnonleg/21668.htm e

 http://www.camera.it/682?atto=396&tipoatto=Atto&leg=16&tab=3#inizio. Nel caso del Senato, il parere favorevole era condizionato all’introduzione di alcune modifiche tecniche

[7] Per le professioni regolamentate, le possibilità logiche (e le alternative di policy) sono quattro, tra loro chiaramente autoescludentesi:

1.            situazione attuale: titolo di studio + esame di stato

2.            solo titolo di studio, senza esame di stato

3.            solo esame di stato, senza titolo di studio

4.            né titolo di studio, né esame di stato.

Purtroppo, l’insieme delle risposte previste alle domande 1 e 2 genera sottoinsiemi difficili da interpretare.

[8] Il Decreto Legislativo 19/2012 prevede tre tipi di verifiche:

a) l'introduzione  di  un  sistema  di  accreditamento  iniziale  e periodico delle sedi e dei corsi di studio universitari;

b) l'introduzione di un sistema di valutazione e  di  assicurazione della qualità, dell'efficienza e dell'efficacia  della  didattica  e della ricerca;

c) il potenziamento del sistema di autovalutazione della qualità e dell'efficacia  delle  attività  didattiche  e  di   ricerca   delle università.

[9] Schattschneider, E. E. (1960). The Semi-. Sovereign People: A Realist's View of. Democracy in America. New York: Holt, Rinehart and Winston: 68

[10] Edelman, M. (1964). The Symbolic Uses of Politics. Urbana & Chicago: University of. Illinois Press: 39

[13] Ad esempio, il Sole 24 ore il 22 marzo 2012 ha dato la notizia dell’avvio della consultazione con questo titolo:“Valore legale della laurea: al via il referendum online”